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La fine del Sessantotto italiano


Naturalmente le suggestioni del Maggio parigino ebbero un ruolo potentissimo nell’evoluzione dei movimenti studenteschi italiani, a partire dal seguente anno accademico.
La rivolta universitaria del Sessantotto cambia radicalmente di segno già dal settembre 1968, quando l’ultimo convegno nazionale del movimento studentesco apre una diaspora il cui esito sarà, fra l’altro, la nascita di un discreto numero di gruppi politici di estrema sinistra, proprio nel periodo tra il settembre ’68 e l’estate ’69.

La fine del Sessantotto deve pertanto collocarsi nel corso dell’anno accademico 1968/’69: da una parte si assiste allo sfaldamento di quelle ‘comunità’ apparentemente omogenee che avevano rappresentato il ‘movimento studentesco’ nei mesi della rivolta universitaria, mentre altrove nascono gli attori che saranno tra i protagonisti della successiva cesura storica, cioè quei lunghissimi anni settanta che pure qualche cosa dal Sessantotto devono aver ereditato, oltre a base e vertici militanti.

Ma se i gruppi extraparlamentari della nuova sinistra sono una delle componenti che caratterizza la cesura tra Sessantotto e anni settanta, senza dubbio il Sessantanove operaio dell’autunno caldo merita un posto di primo piano nella crisi politica dell’Italia della fine degli anni sessanta.
Fenomeno tutto italiano, il Sessantanove operaio rappresenta probabilmente il più suggestivo tra i possibili limiti ad quem della mia ricostruzione, come si vedrà nella sezione conclusiva.

Per il momento quello che mi sembra significativo è che quell’indistinta figura che aveva dato corpo alla rivolta universitaria italiana del 1967/’68, lo ‘studente in agitazione’, a partire dall’anno successivo era diventato – per la rappresentazione dei media, per le valutazioni della questura e per le autorappresentazioni fornite dagli stessi protagonisti – un ‘militante’, un’attivista politico inserito in una lotta di lungo periodo.
Il maggio strisciante italiano è anche il percorso di quei gruppi militanti studenteschi che per primi potevano dire di ‘aver fatto il Sessantotto’; espressione poi diventata tanto di moda e che senza dubbio ha contribuito non poco a forgiare quell’icona della memoria che si è tentato parzialmente di disarticolare con questa ricerca.

Gli studenti che avevano ‘fatto il Sessantotto’, cioè che erano stati protagonisti delle occupazioni e dei cortei tra il novembre ’67 e l’estate ’68, naturalmente proseguirono nelle agitazioni anche nel successivo anno accademico, il 1968/’69.
Ma implicitamente ed esplicitamente facevano già riferimento ad una ‘tradizione’ di lotte che ne aveva modellato forme e contenuti, benchè si trattasse di una tradizione recente e letteralmente inventata nel corso di una stagione brevissima, non più lunga di una manciata di mesi.

Forse proprio la consapevolezza di quella piccola tradizione politica rappresenta la prima significativa discontinuità tra il Sessantotto universitario e i mesi che lo seguirono immediatamente, prima che altre tradizioni e altri attori debbano intervenire per rimodellare contorni politici e sociali in cui si trovavano ad agire i protagonisti della mia ricostruzione di breve periodo.

Fabio Papalia


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