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Berlusconi si è dimesso – Fine del berlusconismo?


La fine di un regime è un momento particolarmente eccitante per chi si occupa di storia contemporanea.
Le date – i gesti, le circostanze – contano moltissimo nella determinazione delle cesure storiche.

L’impatto simbolico di una data storica sulla percezione collettiva di una società è ineliminabile; la letteratura storiografica avrà modo di forgiare negli anni a venire la valenza simbolica di questo 12 novembre 2011.

Quello che appare chiaro è che il declino dell’uomo politico più discusso del panorama istituzionalle italiano degli ultimi vent’anni non è avvenuto per merito di un’opposizione arguta, intelligente o reattiva.

Le dimissioni di Berlusconi sono state imposte dall’agenda europea che da settimane sta lavorando per scongiurare l’esportazione della crisi finanziaria greca agli altri paesi deboli del (sub)continente europeo.

La credibilità del governo Berlusconi sui mercati finanziari europei e mondiali non avrebbe potuto permettere il successo dell’opera di contenimento messa in campo dalla BCE negli ultimi tempi.

La cosa non può stupire più di tanto, Berlusconi ha girato le piazze europee con le sue barzellette, si è imposto all’attenzione della stampa nei summit internazionali per gli scandali sessuali.

Ha varato, nel corso degli ultimi diaciassette anni, una valanga di leggi ad personam, scritte escplicitamente con l’intento di cavarlo fuori dai guai giudiziari in cui è coinvolto.

Non ha mai smesso di dare prova della sua arroganza politica – non ha mai nemmeno dissimulato quel contegno e quel rigore morale che pure ci si aspetterebbe da un uomo delle istituzioni.

Dall’altra parte il nulla; è per questo che si parla legittimamente di ‘berlusconismo‘, di ‘regime’.

Perchè tanto la stampa quanto l’opposizione parlamentare si sono dimostrate assenti, talvolta complici; quasi sempre inconsistenti nella denuncia e impreparate nella capacità di incidere sulle trame governative tessute da Silvio Berlusconi negli ultimi vent’anni.

Se ci sono state resistenze queste non vanno cercate nell’establishment di potere che sarebbe dovuto essere alternativo a quello edificato dal cavaliere nel corso della sua ‘avventura politica’.

La società civile e i ceti popolari hanno dato battaglia per anni, cambiando agglomerati e bandiere nel tentativo di rappresentare realmente un’Italia del tutto diversa da quella ufficialmente incarnata dal primo ministro di Arcore.

Il peso della crisi sociale e dell’impoverimento di strati medi e deboli della società è stato il panorama entro il quale la nullità complice dei partiti ‘di opposizione’ si è resa responsabile della crisi politico-culturale che è tutt’altro che superata, anche con le dimissioni dalla presidenza del Consiglio da parte di Silvio Berlusconi.

Con il 12 novembre 2011 possiamo probabilmente registrare l’epilogo politico dell’imprenditore milanese, ma il risorgimento politico-culturale è tutt’altra cosa.

Anzi, i colpi di coda di un regime al tramonto sono di solito i peggiori da sopportare, a livello sociale.

E sul piano culturale l’Italia del 2011 è una terra bruciata e cosparsa di sale grosso, a tutti i livelli.

Voltare la pagina del ‘berlusconismo’ non sarà semplice, nè immediato.

Ma la sensazione è che il ventennio berlusconiano abbia trovato, nella data del 12 novembre 2011, una cesura insuperabile, un passaggio storico periodizzante che rimarrà, volenti o nolenti, nel dibattitio storiografico a venire.


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