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Fonti per la storia dell’Italia contemporanea


Ancora due considerazioni di carattere generale.
La prima è che si può notare in questi volumi l’alternarsi di titoli che fanno riferimento a soggetti, pubblici e privati, i quali conservano e gestiscono determinate categorie di fonti, promuovendo e sviluppando più volte essi stessi le ricerche che ne possono scaturire, e di titoli che invece sono dettati dalla tipologia dei contenuti presi in considerazione. Questa differenza discende essenzialmente dal fatto che non sempre esistono soggetti istituzionali chiaramente deputati a gestire in modo preminente specifiche categorie di fonti. Ad esempio, esistono gli Archivi di Stato come istituti di carattere generale per i documenti prodotti  dalla pubblica amministrazione, esiste come istituto particolare l’Archivio storico del Ministero degli affari esteri, esistono l’Istituto nazionale per la storia del Risorgimento e l’Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia con la rete degli Istituti a esso associati, ma esistono ancora pochi luoghi-istituti che abbiano come prioritario o addirittura esclusivo punto di riferimento le fonti fotografiche, quelle orali, quelle di partiti, sindacati, imprese e così via. Naturalmente, si tratta di una distinzione empirica, che non esclude attività di  conservazione e di ricerca incrociate, rivelate dalla segnalazione di fonti esterne all’istituto di cui si sta trattando.

 

La seconda considerazione può essere espressa da due domande, poste l’una nel saggio che apre l’opera, l’altra in quello che apre il terzo volume: chi voglia studiare la storia d’Italia nel secolo XX, di strumenti e di fonti ne trova troppi o troppo pochi? E può accedervi liberamente? Alla prima   domanda si può rispondere che la storia contemporanea ha, fra le altre, proprio la caratteristica di avere a disposizione fonti insieme sovrabbondanti e lacunose (prescindiamo qui, per le lacune, dalle cause operanti in tutte le epoche: incendi, alluvioni, terremoti, guerre, e anche la mera incuria). Da una parte cresce nella società umana la ricchezza dei rapporti e degli scambi, che tutti lasciano tracce documentarie e tracce nelle cose che vengono in conseguenza create, modificate o distrutte; dall’altra crescono in parallelo gli interventi delle istituzioni pubbliche, instancabili produttrici di documenti, quale che ne sia il supporto, cartaceo o informatico. Limitando il discorso alle fonti documentarie, è proprio la loro sovrabbondanza che ne rende impossibile la conservazione integrale; ma la necessaria opera di selezione può essere compiuta in modo oculato o in modo improvvido, spesso sotto la spinta della mancanza di spazio e di mezzi finanziari atti a garantire un’adeguata conservazione, o anche per il prevalere di altre finalità. Durante la prima guerra mondiale fu affidato alla Croce rossa italiana il monopolio della vendita alle cartiere per il macero delle carte eliminate dai pubblici archivi: distruggere i documenti divenne allora opera patriottica e a chi si distingueva in essa fu conferita un’apposita medaglia. C’è tuttavia, nella distruzione di tanti documenti contemporanei, una causa più profonda e ineliminabile: noi non possiamo presumere di conoscere quali saranno gli interessi storiografici dei nostri posteri e di quale documentazione avranno bisogno; ma nello stesso tempo l’accelerazione del corso di tempi che producono documenti in crescente quantità rende più rapidamente smentibili i criteri con i quali essi vengono selezionati per una conservazione assunta come eterna.
La libertà di accesso, cui è qui dedicato un contributo specifico, è invece una questione etica e politica nella sostanza, giuridica nella forma. Gli ordinamenti dei paesi democratici hanno in vario modo consacrato il principio che tutti i cittadini hanno libero accesso ai pubblici archivi, biblioteche e musei, e hanno nello stesso tempo organizzato sistemi più o meno efficaci per garantire qualche forma di accesso anche a quelli di proprietà privata. Di fatto, e qui il discorso riguarda soprattutto gli archivi, il diritto all’accesso deve tenere conto di due altre situazioni anch’esse giuridicamente rilevanti: la tutela dei segreti di Stato (gli arcana imperii, che esisteranno finché esisterà lo Stato) e la tutela della vita privata (privacy).

La prima è esercitata dallo Stato in propria difesa, la seconda dai cittadini l’uno rispetto all’altro e rispetto allo Stato.

Claudio Pavone, Introduzione in (a cura di) Claudio Pavone, Storia d’Italia nel secolo ventesimo. Strumenti e fonti, Dipartimento per i beni archivistici e librari, Roma 2006, pp. 18-19.


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