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Il movimento studentesco nella lotta anticapitalista – Luigi Longo


Voglio pubblicare un ampio stralcio da un celebre intervento dell’allora segretario del Pci sui movimenti studenteschi che avevano preso ad occupare le università nel 1968.

Il movimento studentesco, che negli ultimi mesi si è sviluppato con tanto slancio, non può essere considerato come un movimento “settoriale”, da aggiungersi ai tanti altri che già vi sono. E’ vero che esso pone anche “rivendicazioni”, relative all’ordinamento e all’orientamento degli studi, ai programmi e ai metodi di insegnamento, alla partecipazione degli studenti alla gestione della scuola, e così via.

Ma già queste “rivendicazioni” non sono poste come problemi di categoria, ma come aspetti di problemi più generali della società, cioè come momenti di lotta contro l’autoritarismo scolastico e capitalistico, per la costruzione di una nuova società e la reazione di nuovi rapporti tra la società e la scienza, la cultura, l’arte.
Discende naturalmente da questa concezione delle “rivendicazioni” relative alla scuola, l’esigenza, per il movimento studentesco, di affrontare non solo tutti i problemi concernenti la costruzione della nuova società, ma anche quelli dei rapporti con le altre forze che, nel paese, lottano o possono lottare per lo stesso obiettivo. E’ così che il movimento studentesco si incontra con tutta la tematica e con tutti i problemi del movimento rivoluzionario italiano di cui viene ad essere un aspetto ed un momento. […] Il risultato dalle mie conversazioni, che è proprio su questi problemi, dei compiti che si ponevano loro, che i compagni studenti, all’inizio del movimento studentesco, si sono trovati incerti sul da fare. Ci siamo trovati, essi mi hanno detto, all’interno del movimento studentesco, in una
situazione molto critica.

Eravamo abituati a muoverci sul piano rivendicativo e all’interno di quella che era la logica delle forze cosiddette rappresentative, tendenti a circoscrivere la lotta all’interno delle Università, con una visione limitata dei problemi ed incapaci di respiro più ampio. Non fummo perciò in grado di dare una valutazione immediata
del movimento che veniva sviluppandosi e assumeva via via un carattere politico.
Ci siamo trovati, confessano questi compagni, in una situazione di isolamento individuale, di sconcerto. Ci siamo trovati a combattere nel movimento studentesco a fianco a fianco con forze e su temi che a livello di partito erano stati praticamente fuori dalla nostra sfera d’azione e dal nostro dibattito.
Abbiamo attribuito questo nostro imbarazzo ad una certa usura della vita del partito, alla carenza di informazione su certi avvenimenti (come ad esempio la rivoluzione culturale in Cina, la rivoluzione castrista, il movimento rivoluzionario del Sud America). […]

Io credo che le considerazioni esposte da questi compagni, le difficoltà incontrate per riprendere un certo tempo nel “dialogo” universitario, una certa funzione nel movimento studentesco, vadano attentamente considerate. Sono certamente la manifestazione di difetti e carenze nostre che devono essere superate. Non si può negare che ci sia stato distacco tra il partito, le sue impostazioni nelle Università, e la realtà politica ed organizzativa che si è venuta creando nel campo studentesco, e in certi suoi settori, particolarmente “attivi”, particolarmente dinamici. Certi fermenti politici e culturali esistenti nelle Università, solo tardivamente hanno interessato i nostri compagni, le nostre organizzazioni. Perché? Senza pretendere di dare una risposta conclusiva ed esauriente alla domanda, io credo che si possa dire che la preoccupazione di difendere il partito dagli attacchi alla sua unità ed alla sua compattezza, ha chiuso i nostri compagni in una difesa rigida, muro contro muro, per così dire, senza nessuna apertura alla comprensione delle ragioni ed anche alla contestazione degli argomenti altrui. Non vale come giustificazione, ma solo come spiegazione, l’argomento che l’artificiosità dell’attacco di cui spesso il nostro partito è stato fatto oggetto, il modo grossolano e strumentale con cui è stato condotto il dibattito politico, da parte dei nostri critici, e l’uso del tutto arbitrario degli insegnamenti dei grandi maestri del marxismo e del leninismo e la pretesa di trasporre meccanicamente nelle nostre condizioni esperienze rivoluzionarie compiute in situazioni del tutto diverse, non hanno invitato alla polemica e allo studio approfondito. […]

L’Università ha offerto, in questi mesi, un vasto campo di confronti vivaci ed appassionati di idee e di posizioni le più varie. Il movimento studentesco, con la sua azione rivendicativa nel quadro degli ordinamenti universitari e con i suoi dibattiti, ha posto all’ordine del giorno un certo tipo di lotta contro il sistema e una serie di problemi di strategia e di tattica. Dobbiamo riconoscere che, concretamente, esso ha smosso la situazione politica italiana, ed ha avuto ed ha un valore largamente positivo, perché si è qualificato largamente come un movimento eversivo del sistema sociale italiano. […]

Il discorso sulla costituzione di un partito degli studenti è stato contraddetto e respinto. Esso intendeva contrapporsi, ma in modo sbagliato, al pericolo che il movimento studentesco si esaurisca nel rivendicazionismo settoriale. Il problema è di trovare il legame politico e di azione tra le rivendicazioni studentesche – che il più spesso hanno un contenuto sociale e politico molto generale – e i problemi del movimento operaio e popolare anticapitalistico; il problema è quello dei rapporti e dell’unità d’azione con le forze che oggettivamente si contrappongono al sistema e conducono una lotta sullo stesso piano; in primo luogo, è quello del rapporto con il Partito comunista, in quanto esponente e dirigente della grande maggioranza della classe operaia. […]


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